Maiga: «Il Sanremo è una gara troppo dura per il CIR»

Maiga: «Il Sanremo è una gara troppo dura per il CIR»
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Piero Batini
  • di Piero Batini
Il Sanremo è Sergio Maiga, deus ex machina di un Rally che merita i fasti di un passato grande proprio perché ha dato vita ad eventi internazionalmente riconosciuti come il Sanremo |<i> P. Batini</i>
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9 aprile 2014

Il Sanremo è Sergio Maiga, deus ex machina di un Rally che merita i fasti di un passato grande proprio perché ha dato vita ad eventi internazionalmente riconosciuti come il Sanremo

Parliamo della durezza, dell’impegno necessario per organizzare un Rally, oggi sempre più grande…
«Certamente è un impegno sempre più grande e sempre più duro. Sicuramente un’impresa. Il problema principale è il solo fatto di organizzarlo, e per questo è necessario far parte di una buona squadra. Anche quest’anno, per esempio, io mi sono occupato della struttura generale, di pensare a tutto, ma a mettere in pratica i miei pensieri ci hanno pensato una serie di amici con cui collaboriamo da sempre. Il Rally si fa con l’estrema fiducia negli altri, e allora il lavoro diventa anche un po’ meno impegnativo. È chiaro che ci sono mille problemi di ordine pratico, dalla disponibilità delle strade a quella della forza pubblica, per esempio, che sono stressanti, però devo dire che la cosa che mi ha fatto far più fatica è stato mettere insieme le regole della federazione italiana. Intanto ero abituato ad organizzare il Rally di Sanremo ad ottobre, e il nostro metodo di lavoro era consolidato. Organizzare un evento in Italia all’inizio dell’anno, invece, è veramente problematico, perché le regole escono a marzo. Fino a marzo ho fatto il Rally come volevo io, e anche se è vero che i regolamenti sono rimasti più o meno gli stessi, è piombato il problema delle gomme».


Quale problema, vogliamo spiegarlo?
«La FIA ha introdotto la regola, giusta o sbagliata non importa qui, non voglio entrare nel merito, che per motivi di sicurezza non si poteva più correre con le gomme slick con qualche “tagliuzzo” ma bisognava utilizzare delle gomme intagliate al 21%, con varie mescole in funzione del fondo, asciutto o bagnato. La Federazione Italiana ha deciso che quelle gomme non si potevano usare in Italia, che si continuava con le vecchie gomme. Forse c’era qualcuno che doveva smaltire degli pneumatici! Insomma, i piloti italiani dovevano venire a Sanremo con delle gomme che non avrebbero più usato nel corso della stagione. Un pensiero e un costo in più per gli amatori, e molti hanno deciso di non venire. Quando mi sono reso conto della situazione ho cercato di inserire nel regolamento particolare del Rally un’appendice regolamentare, ma probabilmente era troppo tardi e le risposte della federazione sono arrivate ancora più tardi, insomma il risultato è che sono rimasti solo quelli che si erano iscritti per sbaglio».

La FIA ha introdotto la regola, giusta o sbagliata non importa qui, non voglio entrare nel merito, che per motivi di sicurezza non si poteva più correre con le gomme slick con qualche “tagliuzzo” ma bisognava utilizzare delle gomme intagliate al 21%, con varie mescole in funzione del fondo, asciutto o bagnato


Insomma un provvedimento tardivo che diventa una mazzata sul Rally?
«Come una mazzata. O quanto meno un problema in più. Io resto dell’opinione che le idee devono essere discusse e le regole stabilite nell’arco dell’anno per entrare in vigore il 1° gennaio dell’anno successivo. Così tutti lo sanno prima, e da ottobre a dicembre tutti hanno l’opportunità di pianificare il loro impegno. Così si finisce per vivere alla giornata, che non è molto bello».

È anche un ostacolo alla promozione della disciplina…
«Diciamo che in periodi di vacche magre, meno complicazioni si creano ai concorrenti e meglio è, evidentemente. Ci son tante regole in Italia che sono diverse da quelle europee, e non si capisce perché, se la Federazione Italiana è nella FIA le regole dovrebbero essere uguali per tutti. Facciamo un esempio, il Sanremo è vicino alla Francia, se uso le regole FIA i francesi possono partecipare in Italia o altrove senza alcun problema. Invece succede che ci sono soluzioni e modalità che valgono per l’Italia e non per altri Paesi. Questo non può funzionare».

A buon intenditore…  Passiamo al Sanremo, che si è confermato gara particolarmente bella ma anche molto impegnativa. Mettiamoci anche l’aggravante del meteo un po’ isterico. Forse troppo per l’”Italiano Medio”?
«Sì, direi che ho notato una differenza netta tra la gara del 2013 e quella di quest’anno. Sicuramente per il Campionato Italiano il Sanremo è troppo duro. I piloti non sono abituati a fare gare così dure, sono pochi, le condizioni climatiche del sabato hanno inciso ulteriormente, e la selezione è diventata molto forte».


Allora cosa vorresti fare, riportare il Sanremo ai fasti del passato, o piuttosto adattarlo alla situazione contingente?
«Voi cosa ne pensate? Io penso che la storia del Sanremo non merita di decadere così. Se non riesco a riportarlo ai fasti del passato, io non lo condanno. Diciamo che, più in generale, in Italia bisogna che qualcuno faccia qualcosa per rivitalizzare questo sport. Io ci sono dentro da ormai quarant’anni, e lo vedo decadere, pian piano ma inesorabilmente. Mai una contro tendenza al rialzo. Sì, un anno con qualche macchina in più, ma non è indice di inversione di tendenza. Questa specialità è fatta dai piloti di punta ma anche e soprattutto dai partecipanti. Senza partecipanti le gare non si fanno».

Sicuramente per il Campionato Italiano il Sanremo è troppo duro. I piloti non sono abituati a fare gare così dure, sono pochi, le condizioni climatiche del sabato hanno inciso ulteriormente, e la selezione è diventata molto forte


Certo è che i partecipanti sono centrifugati in mille gare all’anno…
«Certo, è così, ma ci sono anche situazioni diverse, nelle quali vengono inventate delle regole “a sentimento”, che poi vengono revocate sulla base delle proteste, indipendentemente dal fatto che servano o no. Tipo quella del Tracking.  Al Sanremo il tracking esiste da dieci anni, e la Federazione lo aveva imposto a tutti gli organizzatori. Una piccola rivolta, ed è stato tolto. Allora, l’esigenza del tracking nasce da una necessità di sicurezza, e la decisione di imporlo da una situazione contingente in cui una macchina in un Rally provoca un incidente drammatico. Una piccola gara, ma nel rapporto con la sicurezza non esistono gare piccole e grandi, e le gare “grandi” il tracking, più o meno sofisticato, lo hanno già considerato importante. Nelle gare piccole non c’era, è stato imposto e poi tolto di nuovo. A che è servito indire una gara d’appalto, obbligare il fornitore a investire, creare i costi della procedura? Chi ha vinto alla fine? Nessuno. Chi ha perso? Sicuramente la sicurezza!».

Hai detto amici, quante persone sono servite per tenere in piedi un Rally così impegnativo anche dal punto di vista organizzativo?
«Il gruppo, mal contati siamo circa seicento persone. Il piccolo gruppo di amici che ha messo insieme il Sanremo, e che ha coordinato le operazioni, in realtà è davvero piccolo. Sono non più di sei, sette persone. Ma sono sufficienti. Sono cinque generali per un esercito di soldati, diciamo di volontari, perché tuttalpiù si vedono riconosciuto un rimborso spese».


Un messaggio al popolo deli appassionati? Cosa manca allora a questo mondo così bello?
«No, direi che di messaggi ne abbiamo lanciati più di uno. Anzi, sì. Sicuramente questo mondo risente totalmente della crisi che imperversa nel Paese, ma questo è solo uno dei problemi. Sicuramente non è IL problema. Uno di questi è che qualcuno dovrebbe ripensarsi nel proprio ruolo di “comando”. Questo continuo calare dell’attività dovrebbe far riflettere sul fatto che la promozione di questa attività non è fatta nel modo migliore».


E c’è un’idea, al riguardo, di Sergio Maiga?
«No, non è il mio compito e io non voglio avere un’idea precisa, però vedo chiaramente il problema. E d’altra parte, quando uno si assume un impegno di questo genere deve sapere che sarà senz’altro un compito difficile, non deve pensare soltanto di aver trovato un lavoro. Per svolgere compiti così importanti e delicati bisogna avere le qualità. In passato in Italia l’attività ha avuto dei promotori di qualità che si sono svegliati una mattina con delle idee, e hanno avuto successo dall’oggi al domani. Qui, oggi, di successi non ne vedo troppi».

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