F1. Dieci anni senza Jules Bianchi, e non è solo colpa del destino

F1. Dieci anni senza Jules Bianchi, e non è solo colpa del destino
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Il 17 luglio del 2015 Jules Bianchi moriva per le conseguenze del gravissimo schianto subito a Suzuka nove mesi prima. Ma pensare che tutto questo sia solo un crudele scherzo del destino vuol dire ignorare le storture di quel giorno di pioggia in Giappone
17 luglio 2025

Che cosa sarebbe stato di Jules Bianchi se non fosse stato spazzato via da una tempesta perfetta di leggerezze dalle conseguenze pesantissime in un giorno d’autunno a Suzuka? Non possiamo fare a meno di chiedercelo, a dieci anni esatti dalla sua morte. Aveva solo 25 anni quando, nove mesi dopo il terribile schianto nel Gran Premio del Giappone 2014, il suo corpo si arrese alla condanna scritta da una diagnosi senza pietà. Il violentissimo impatto con una gru a bordo pista gli aveva provocato un danno assonale diffuso, una condizione irreversibile cui il suo fisico da atleta si era opposto per mesi, pur restando senza speranza.

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Sembra che siano passati pochi mesi e un’eternità allo stesso tempo, da quello schianto che oltre a Jules avrebbe ucciso l’innocenza di un’intera generazione di piloti e di appassionati, convinti che dopo Ayrton Senna in F1 non si poteva più morire. Gli anni scorrono veloci, e con loro le carriere dei piloti. I coevi di Bianchi ormai si avviano alla conclusione della loro avventura nel Circus, mentre nuove generazioni di talenti cominciano a mostrare di che pasta sono fatti, così come Jules era riuscito a fare con la modestissima Marussia. A Montecarlo, pochi mesi prima dell’incidente di Suzuka, era riuscito a entrare in zona punti. Un’impresa titanica per una scuderia che riusciva appena a stare a galla nel mare di squali della F1.

La strada di Bianchi sembrava già tracciata. Fu lui il primo vero membro della Driver Academy di quella Ferrari di cui avrebbe varcato i cancelli da pilota, un giorno. Era solo questione di tempo, vista la stima di cui godeva Jules a Maranello. Ma il tempo è una valuta preziosa. E Bianchi ne avrebbe avuto molto poco, a disposizione. Era stato lo stesso per il suo prozio Lucien, morto a Le Mans negli anni Sessanta. Un eterno ritorno di sofferenza per una famiglia che ha sempre avuto nelle corse l’humus ideale. A volte le strade che sembrano spianate verso il successo si interrompono bruscamente. Ma pensare che sia solo il destino ad averci messo lo zampino è una visione troppo romantica della vicenda.

In quel giorno uggioso di inizio ottobre che deragliò per sempre la vita di Bianchi, tante cose andarono storte per scelte scellerate. Nelle solite condizioni di pioggia torrenziale di inizio autunno in Giappone, si decise di ritardare l’avvio della corsa, rischiando di protrarla verso l’imbrunire nella speranza di un miglioramento che non sarebbe mai arrivato. E dopo lo schianto di Adrian Sutil, non venne chiamata in causa la Safety Car, nonostante la presenza di una gru a bordo pista con una visibilità ridotta al lumicino. Qui sì che entrò in gioco il destino, mettendo Jules sulla traiettoria che l’avrebbe portato a uno schianto da 92 G contro il mezzo di recupero della vettura di un Sutil che fu suo malgrado spettatore del disastro. Alla fine, l’inchiesta della FIA diede larga parte della colpa all’unica parte in causa che non avrebbe potuto difendersi, confinata com’era in un letto di ospedale.

Come era già successo in passato, servì il sacrificio ultimo di Bianchi perché la sicurezza in Formula 1 venisse ulteriormente migliorata. Dal 2018 le monoposto sono dotate dell’halo, un sistema di protezione della testa del pilota che, nonostante lo scetticismo di molti, ha effettivamente salvato la vita di diversi talenti dalla sua introduzione. Uno di questi, Charles Leclerc, è l’uomo che sta di fatto portando avanti il percorso che Bianchi non ha potuto terminare. È arrivato in Ferrari, là dove avrebbe dovuto trovare posto Jules, il suo padrino e amico scomparso prima di poter condividere con lui l’ambiente della F1. Charles aveva cominciato a muovere i suoi primi passi nella pista di kart del papà di Jules, Philippe, creando un legame che si sarebbe dimostrato più forte della morte.

A dieci anni dalla sua scomparsa, Jules Bianchi è ormai diventato un monito della pericolosità delle corse e un simbolo del sacrificio ultimo per una passione irrazionale quanto irresistibile. È un personaggio della storia di Charles Leclerc, fatta di luci ma anche di ombre luttuose. Ma è un peccato che il grande pubblico non lo abbia potuto conoscere per la persona che era davvero. Gentile, mai sopra le righe, con un talento ostinato ma elegante come lui, di quelli con la forza silenziosa dell’acqua che spacca le pietre. Jules era un fiume di potenzialità quando tutto fu strozzato dalla tempesta di Suzuka. Una crudeltà che gli ha rubato tutto il futuro che pensava di avere quando si mise il casco per l’ultima volta, dopo averlo pulito con cura.

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