Apple accusata di obsolescenza programmata. E l'auto?

Apple accusata di obsolescenza programmata. E l'auto?
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Daniele Pizzo
Il caso Apple apre la discussione sull' “invecchiamento precoce” di molti beni di consumo. Le automobili ne sono immuni?
9 gennaio 2018

Punti chiave

Nel 2015 la Francia ha varato, caso unico in Europa, una legge che ha reso un delitto l'obsolescenza programmata. Oggi quella legge è arrivata sulle prime pagine dei nostri giornali, perché ha messo alla sbarra degli imputati niente meno che Apple, accusata, come è noto, di limitare di proposito la durata degli iPhone

Per capire meglio la questione dobbiamo fare un salto indietro di 100 anni. L'obsolescenza programmata è una trovata di alcuni industriali che risale agli inizi del '900, quando si iniziò a diffondere massicciamente l'illuminazione elettrica. Gli atti di un processo intentato nel 1942 dagli Stati Uniti contro la General Electric ed altri produttori (Philips, Osram e altri non più esistenti) narrano che i maggiori produttori di lampadine si riunirono a Ginevra il 23 dicembre del 1924 per stabilire una tregua: la concorrenza su chi facesse la lampadina più longeva doveva terminare.

Piuttosto, era più conveniente stabilire insieme quanto esse dovessero durare. Si stabilì un ciclo di vita standardizzato a 1.000 ore. Così, si sarebbero vendute molte più lampadine, con evidente vantaggio per tutte le società che avevano aderito al “cartello Phoebus”. Con questo nome è passato alla storia quell'accordo che secondo molti storici è stata la prima applicazione del concetto di “usa-e-getta” della storia industriale.

Alzi la mano chi non ha mai acquistato una nuova stampante perché riparare quella rotta sarebbe stato più costoso di prenderne una nuova. Quello delle stampanti pare che sia infatti il settore dell'elettronica di consumo più colpito dall'obsolescenza pianificata, come dimostrano i processi a Epson ancora in Francia e a Lexmark negli Stati Uniti.

E l'auto, può essere considerata un prodotto soggetto ad obsolescenza pianificata? La sensazione è che sia così, basta parlare con qualche meccanico dai capelli bianchi per rendersene conto. E se non l'auto nella sua interezza, almeno tante sue parti. Per tutti i meccanici più attempati, infatti, i materiali di oggi sono più scadenti di quelli di qualche anno fa. Un qualsiasi veicolo odierno, tra 30 anni potrà ancora essere restaurato come oggi si fa con auto e moto costruiti fino agli anni '70? Vista la massiccia presenza di parti plastiche soggette a naturale deperimento e dell'elettronica sempre più presente, per chi le auto le ripara sembrerebbe che tra qualche decennio riportare in vita un mezzo d'epoca sarà una missione impossibile. 

In qualche modo l'obsolescenza delle auto sembra indotta da due fattori: da una parte c'è l'alto costo dei ricambi originali imposti dai costruttori, che come per le stampanti rende poco conveniente rimettere in sesto un'auto magari ancora eccellente ma con qualche problemino. L'alternativa migliore in alcuni casi meno gravi sarebbe quella di utilizzare ricambi OEM, ovvero quei ricambi identici all'originale prodotti da un fornitore per conto della Casa madre e installati come primo equipaggiamento, ma senza il marchio del costruttore, che costano almeno la metà. 

Individuare esattamente l'azienda che fornisce un componente ad una Casa non è però così semplice. Bisogna affidarsi all'esperienza del meccanico di fiducia, effettuare lunghe ricerche sui forum di appassionati, sfogliare cataloghi e chiedere informazioni agli stessi produttori, un lavoro di ricerca che non tutti possono o sono disposti a fare, ma che può far risparmiare davvero parecchi soldi fino ad evitare di dover comprare un'altra auto. 

Dall'altro c'è quella che gli economisti hanno chiamato obsolescenza percepita: ovvero, cambiamo un oggetto con uno più recente perché quello che abbiamo ci sembra ormai obsoleto, anche se potrebbe durare ancora per molto. Perché lo facciamo? In qualche modo, spiegano gli psicologi, siamo influenzati da una qualche forma di persuasione occulta, cioè dalla pubblicità e/o dalla moda, che ci spingono ad acquistare l'ultimo ritrovato tecnologico per non sembrare più poveri o antiquati di quello che siamo.

Nel caso dell'auto c'è poi una forma di obsolescenza dettata dalla politica: i divieti di circolazione per le vetture più anziane, ad esempio, il bollo che penalizza le auto più datate, le norme antinquinamento aggiornate sempre più di frequente rendono anche le automobili sempre più “vecchie” anzi tempo rispetto a quanto accadeva qualche decennio addietro. 

Ciò ha ricadute dirette sul mondo in cui viviamo: la quantità di rifiuti elettronici altamente inquinanti aumenta pericolosamente e le amministrazioni spendono sempre di più per il loro smaltimento. Così, se da una parte possiamo risparmiare acquistando oggetti elettronici sempre più a buon mercato, dall'altro ci dobbiamo fare indirettamente carico dei costi del loro smaltimento una volta che si sono rotti, attraverso tasse sui rifiuti sempre più alte.

Il nuovo, poi, non è detto che sia più “ecologico” del “vecchio”: una recente ricerca del MIT ha messo in luce come produrre un'auto elettrica sia più dispendioso da un punto di vista energetico (e dunque più inquinante) rispetto a produrre un'auto con un motore tradizionale.

Siamo dunque condannati ad essere consumatori sempre più ossessionati dalla rincorsa al nuovo? Fino ad oggi è stato così, ma pare che il vento stia per cambiare. La legge che rende l'obsolescenza programmata un reato grave ideata dai cugini d'Oltralpe ha ispirato anche Olanda e Finlandia ed è arrivata all'Europarlamento, che tra non molto potrebbe varare una norma simile da applicare in tutta Europa. Una proposta simile in Italia è stata già depositata anche alla Camera. Vedremo se dopo le elezioni andrà avanti.

Nel frattempo farebbero bene costruttori a cercare di rendere il ciclo di vita delle auto sempre più lungo e dunque sostenibile, senza ricorrere a “trucchetti” per spingere i consumatori a cambiarla sempre più spesso. In Francia, infatti, l'obsolescenza programmata è un reato grave, punito con un'ammenda di 300.000 euro oltre a una contravvenzione pari al 5% del fatturato. Se in tutta Europa fossere adottate pene così severe varrebbe la pena rischiare, oppure non sarebbe meglio fare auto, oltre che più efficienti, anche che durino di più e facili da riparare come un tempo? 

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