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La Maserati Biturbo fu presentata alla fine del 1981 – non al Salone di Torino del 1980, dove fu solo annunciata – e scatenò un’autentica febbre tra gli appassionati. La Biturbo, con il suo motore biturbo 2.0, si presentava come la 2 litri più potente sul mercato, capace di combinare prestazioni elevate e un prezzo competitivo. Il suo stile elegante e la tecnologia dei due turbocompressori la rendevano una coupé Maserati anni ’80 altamente desiderabile. Nessuno prima d’allora aveva visto una Maserati così accessibile: il prezzo era solo leggermente superiore a quello di un’Alfetta GTV, e in molti interpretarono la Biturbo come il simbolo di un nuovo corso, in grado di democratizzare il lusso del Tridente. Questa aura di aspirazione e desiderio – che oggi chiameremmo “hype” – creò liste d’attesa interminabili, mentre la consegna slittava costantemente. I potenziali clienti erano disposti a pagare di più per assicurarsi l’ordine, portando il mercato a un meccanismo di aste private e competizione feroce.
Tuttavia, le aspettative generate dalla Maserati Biturbo furono ampiamente tradite dai primi modelli consegnati, che soffrivano di numerosi difetti di gioventù dovuti a carenze nei collaudi. Componenti chiave come lo sterzo – preso dalla Fiat 131 – e finiture in plastica con finta radica e finta pelle mal celavano una qualità percepita inferiore a quella attesa per una coupé Maserati anni ’80. Inoltre, l’assenza di dotazioni fondamentali quali servofreno e ABS, insieme all’utilizzo del carburatore in luogo dell’iniezione, tradiva un lancio affrettato e condotto con risparmio. Questi problemi tecnici e costruttivi causarono innumerevoli richiami, danneggiando pesantemente l’immagine della Biturbo nel mercato del lusso e alimentando una sostanziale insoddisfazione nei clienti. L’idea romantica di una coupé prestazionale ed elegante si scontrò con la dura realtà di un prodotto non adeguatamente testato e al di sotto delle aspettative legate al marchio Maserati.
La persistente reputazione negativa costrinse Alejandro de Tomaso, al vertice del marchio, a prendere una decisione drastica: già nel 1988 il nome Biturbo fu ritirato, sostituito da designazioni numeriche come 222, 422, 2.24 e 4.24. Questa scelta di Alejandro de Tomaso rappresentò un tentativo di liberare la coupé Maserati anni ’80 dal peso della cattiva fama, cercando di darle una nuova identità. Il nome Biturbo, ormai carico di connotazioni negative, venne messo da parte, nella speranza che i modelli successivi potessero distaccarsi dal passato problematico. È un episodio che sottolinea quanto il valore di un nome commerciale possa influire – in positivo o in negativo – sul destino di una vettura. Cambiare nome fu un atto simbolico: si voleva preservare il potenziale intrinseco della meccanica, ormai migliorata grazie a interventi tecnici mirati sulle turbine, senza ereditare le ombre lasciate dalla sua reputazione iniziale.
Con il tempo, la Maserati Biturbo è stata rivalutata dagli appassionati come un esempio unico di design audace, propulsore biturbo innovativo e sensibilità meccanica. Federico, proprietario di due Biturbo, ha avuto modo di raccontare al nostro Claudio Pavanello, autore della prova che trovate nel video sopra riportato, come siano stati proprio i clienti i collaudatori reali: le problematiche iniziali spinsero Maserati a intervenire con aggiornamenti che migliorarono l’affidabilità e la tenuta delle turbine. Così, l’anima della coupé – il sei cilindri biturbo – si è dimostrata valida e piena di carattere, unendo morbidezza e potenza in una sinfonia meccanica tipica del Tridente. Oggi la Maserati Biturbo è vista come un’icona dalla storia travagliata ma affascinante, una coupé Maserati anni ’80 che, nonostante il suo passato di controversie, è in grado di evocare passione e nostalgia. La sua evoluzione, dal lancio infelice alla parziale redenzione tecnica, racconta una parabola complessa: quella di un’auto che meritava maggiore pazienza e che, con il giusto rispetto, ha conquistato un posto speciale tra le opere storiche del marchio Maserati.