Non è mai troppo tardi per capire le elettriche S1E04: Born in the USA e il flop di Saturn

Non è mai troppo tardi per capire le elettriche S1E04: Born in the USA e il flop di Saturn
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Umberto Mongiardini
  • di Umberto Mongiardini
Se è vero che il 2035 darà il via a una nuova golden age delle auto elettriche, il loro vero periodo d’oro appartiene – per il momento – al passato. E noi vogliamo cominciare proprio da lì: tutte le settimane ve ne raccontiamo la storia, le caratteristiche, la tecnica, vantaggi e svantaggi. Oggi parliamo degli USA con la nascita del CARB e la spinta alle nuove elettriche pre Tesla
  • Umberto Mongiardini
  • di Umberto Mongiardini
31 luglio 2022

Dopo la scorsa puntata riguardante il Giappone e, più nello specifico, la mitica Toyota Prius, oggi facciamo un piccolo balzo indietro e ci trasferiamo – quantomeno virtualmente – sull’altro lato dell’Oceano Pacifico, atterrando in California.

Se da una parte la Prius ha fatto la storia, bisogna dare credito al California Air Resources Board (CARB), ovvero l’ente che regola l’inquinamento della California. Nato nel 1967, aveva e ancora ha il compito di sviluppare dei piani e di trovare delle soluzioni all’inquinamento dell’aria dello 31° stato degli USA.

Ma perché proprio la California? Nonostante la sua bandiera raffiguri un orso grigio e sul suo territorio siano presenti alcuni dei parchi naturali più belli del mondo, non è tutto oro quel che luccica perché, oltre ad essere soggetta a terremoti, la sua allocazione, abbinata una densità della popolazione particolarmente fitta, la relegava all’ultima posizione tra i vari stati in tema della qualità dell’aria.

Da qui nasce la necessità di avere un ente capace di regolamentare le tematiche legate all’inquinamento, in materia autonoma rispetto agli altri stati federati.

Già due anni dopo la sua fondazione il CARB introdusse i primi standard nazionali sulle emissioni dallo scarico il monossido di carbonio, seguito poi dagli ossidi di azoto nel 1971 e dal particolato dei veicoli alimentati a diesel nel 1982. Già dagli anni ’70 il CARB rese necessaria l’installazione dei convertitori catalitici, andando poi negli anni ad imporre limiti di inquinamento sempre più stringenti, spingendo per l’elettrificazione del parco auto.

Proprio da qui arriva la spinta ai produttori a stelle e strisce verso la produzione di auto più ecologiche e, successivamente, elettriche.

Negli anni non ci sono però tutte storie di successo come quella di Tesla, ma anche di fallimenti, come la Saturn con la GM EV1.

Saturn, nata da una costola di General Motors, era stata lanciata nel 1985 per far concorrenza alle compatte giapponesi. Il risultato? Non proprio quello che i manager si erano aspettati: si stima che più del 40% dei clienti della Saturn fossero clienti di GM, andando così a cannibalizzare l’azienda da cui era nata.

Il vero flop nel flop fu l’elettrica EV1, brandizzata GM ma venduta da Saturn tra il 1996 e il 1999 e figlia del provvedimento emesso da CARB nel 1990 denominato Zero-Emissions Vehicle che richiedeva ai sette brand di automobili più forti sul suolo statunitense di produrre auto elettriche per continuare a vendere vetture con motore endotermico in California.

Nonostante la EV1 sia stata la prima auto elettrica ad essere prodotta su larga scala e non derivante da altri modelli con motore a combustione, i numeri furono davvero limitati, facendo fermare l’asticella a poco più di 1.100 unità. Quelle auto, però, non furono vendute, bensì furono oggetto di una formula a noleggio a lungo termine, l’unica soluzione possibile scelta da GM per portarsene una a casa.

Per la realizzazione della EV1 furono adottate soluzioni all’avanguardia per l’epoca, a partire dal telaio in alluminio, passando per la climatizzazione con pompa di calore, accesso e avvio keyless e tante altre soluzioni volte a limitare il peso e ridurre il coefficiente di resistenza aerodinamica, che si attestava a 0,19.

Le batterie con cui fu equipaggiata la prima versione erano delle batterie Pb-Acido, che le garantivano un’autonomia che si aggirava attorno i 100 km, mentre la seconda versione era dotata di batterie an nichel metal idrato, capaci di garantire una autonomia che superava abbondantemente i 140 km, con tempi di ricarica di circa 8 ore e una velocità massima autolimitata a 130 km\h.

Il successo riscosso, a onor del vero, non fu così male e anzi, diventò ben presto uno status symbol tra i ricchi di Los Angeles. I tempi di consegna però erano di svariati mesi, con prezzi di noleggio decisamente alti, stimati tra i 300 e i quasi 600 dollari mensili e contratti a scadenza triennale.

La doccia fredda per i clienti arrivò nel 1999 quando GM, allo scadere del contratto, decise di non dare la possibilità di riscattare le auto o di prorogare la locazione e, a sorpresa, quasi tutte le vetture vennero demolite. Solo alcuni esemplari furono salvati e donati a qualche museo, anche se non più funzionanti.

A documentare l’accaduto, nel 2006, uscì anche il documentario intitolato “Who Killed the Electric Car?”, una pellicola che analizza le ragioni di una uscita di scena così drammatica e le varie pressioni subite da parte dell’industria petrolifera e quelle che arrivavano direttamente dai produttori di auto.

A rispondere al film, ancora prima che uscisse, ci pensò l’ufficio stampa di GM che, in poche parole, definì parziale la visione del produttore e che le cause dello stop della commercializzazione delle EV1 fossero da ricercare nel poco interesse da parte del pubblico a causa delle modeste prestazioni del veicolo, assieme a una carenza di parti di ricambio che non avrebbe potuto garantire un utilizzo in sicurezza nel giro di breve tempo.

In aggiunta GM si dichiarò soddisfatta dal fatto che, in fin dei conti, la EV1 avesse poi aperto la strada allo sviluppo di altri veicoli ibridi. Comunque sia, tirando le somme, quello di GM fu un vero e proprio fallimento, che segnò una forte battuta di arresto nello sviluppo dei veicoli elettrici.

A prendere le redini del mercato delle elettriche, ça va sans dire, fu Tesla nel 2003, guidata dal genio visionario Elon Musk. Ma qui un capitolo a parte è d’obbligo.

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