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Helmut Marko e la Red Bull divorziano: il superconsulente della galassia di Milton Keynes lascerà il suo ruolo a fine anno, come annunciato in un comunicato stampa diffuso dalla controllante del team, Red Bull GmbH. Che Marko fosse a fine corsa lo si era capito nel paddock di Yas Marina dopo la fine del GP di Abu Dhabi. Era stato lo stesso Marko a spiegare prima ai pochi soliti giornalisti fidatissimi e poi a una platea più ampia di non essere sicuro di continuare il prossimo anno. E le parole del team principal Laurent Mekies alla media session a cui avevamo partecipato post gara erano eloquenti, anche se non aveva confermato direttamente l'addio.
“È stato incredibile nel sostenerci in questa rimonta. Ma in Formula 1 non esiste un ambiente statico: si rivedono sempre le organizzazioni, sia tecniche che sportive. Non lo dico solo per lui, è una cosa normale. E' assolutamente normale rivedere continuamente come possiamo migliorare il nostro modo di operare. Posso solo ringraziarlo per il ruolo che ha avuto nel trasformare quella che a metà stagione sembrava una situazione difficile", ci aveva raccontato Mekies. E oggi è arrivata l'ufficialità della fine di una storia lunga vent'anni, un tempo in cui Marko ha portato in Formula 1 venti piloti, distruggendone alcuni e contribuendo alla consacrazione di pochi, su tutti Sebastian Vettel e Max Verstappen.
"Il mio impegno nel motorsport dura da sei decenni, e i vent'anni trascorsi con la Red Bull sono stati un percorso straordinario e di grandissimo successo - ha dichiarato Marko -. Ho contribuito a pagine meravigliose condivise con tante persone di talento. Quello che abbiamo costruito e ottenuto insieme mi inorgoglisce. Perdere per un soffio il campionato del mondo questa stagione mi ha scosso profondamente, e mi ha fatto rendere conto che ora è il momento giiusto per concludere questo lungo e intenso capitolo di successo. Auguro un futuro di successi al team, e sono convinto che si batteranno per entrambi i titoli mondiali il prossimo anno".
Nel congedarsi dalla Red Bull, Marko mostra un'umanità che nella sua esperienza in Formula 1 ha sfoggiato raramente, spietato come è stato reso da un destino che gli ha impedito di dimostrare quanto valesse come pilota con quell'incidente in cui nel 1972 perse un occhio. Marko si è sempre mosso con grande libertà sotto la gestione di Christian Horner, parlando come e quanto gli pareva con i giornalisti di cui si fidava, sicuro com'era dell'impatto delle sue parole. Ma questo suo atteggiamento gli si è ritorto contro nella fase finale della sua esperienza in Red Bull. Tutto è cominciato dalla morte di Dietrich Mateschitz nel 2022, quando gli equilibri in Red Bull sono cambiati.
Oliver Mintzlaff, nominato CEO dell'intero colosso degli energy drink dopo la morte di Mateschitz con il benestare dell'erede, il figlio Mark, non avrebbe mai visto di buon grado le ingerenze di Marko. E con l'arrivo di Laurent Mekies come CEO e team principal della scuderia, gli equilibri si sono mossi ulteriormente a sfavore del superconsulente. Le gocce che hanno fatto traboccare il vaso sono due. Come riportato in esclusiva da PlanetF1 ieri, Marko avrebbe gestito in totale autonomia una trattativa con Alex Dunne per farlo entrare nel vivaio della Red Bull, arrivando persino a fargli siglare un contratto senza passare da Mintzlaff e Mekies. E poi c'è il pasticcio brutto con Kimi Antonelli.
Marko aveva puntato il dito contro il giovanissimo pilota della Mercedes dopo la gara in Qatar, sostenendo che avesse volontariamente lasciato strada a Lando Norris e scatenando una reazione violenta sui social, culminata addirittura in minacce di morte. Sarebbe stato Max Verstappen a pretendere che la Red Bull si esponesse pubblicamente, con una nota di scuse poi effettivamente rilasciata prima di Abu Dhabi. A questo punto, la misura era colma, anche per Laurent Mekies, particolarmente infastidito dall'accaduto. E se nel comunicato si parla di una scelta volontaria di Marko, non è difficile immaginarsi che questa decisione sia dovuta a un ambiente che gli è diventato ostile.
La Formula 1 non è più il posto giusto per Helmut Marko. Se da un lato bisogna riconoscergli di aver portato nel Circus una buona fetta dell'attuale griglia, da Pierre Gasly a Carlos Sainz, passando per Alex Albon, dall'altro le sue dichiarazioni incendiarie sembravano sempre di più fuori luogo. La lista sarebbe lunghissima. Ci limitiamo a sottolineare quanto molte volte Marko abbia deciso di usare la salute mentale dei piloti come arma contro di loro. Aveva raccontato di aver costretto Yuki Tsunoda a rivolgersi a uno psicologo, come se ci fosse qualcosa di male. Aveva canzonato la vulnerabilità di Isack Hadjar, scioltosi nel pianto dopo essere finito a muro nel giro di formazione a Melbourne. E aveva più volte sottolineato le debolezze di Lando Norris.
L'ironia della sorte ha voluto che il dottor Marko abdicasse dal suo ruolo di padre padrone in Red Bull subito dopo la conquista dell'iride da parte dell'inglese, sempre onesto nell'ammettere le sue fragilità, anche a costo di esporre il fianco a personaggi come l'austriaco, sempre pronto ad affondare la lama. La Formula 1 accoglie un campione del mondo completamente diverso da quell'ideale tossico promulgato a più riprese da Marko, incapace di accorgersi della sensibilità del suo pupillo Verstappen, paterno con i rookie ancora prima di diventare genitore nella sua vita privata. La Formula 1 in cui Marko spadroneggiava non esiste più. È cambiata come ha fatto il resto del mondo. Per fortuna.