Baldi, vincitore 24 Ore di Le Mans: «Le corse di oggi mi sembrano dei videogame»

Baldi, vincitore 24 Ore di Le Mans: «Le corse di oggi mi sembrano dei videogame»
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Matteo Valenti
  • di Matteo Valenti
Mauro Baldi, vincitore della 24 Ore di Le Mans nel 1994 con la Porsche, vero mago e stratega delle corse di durata, ci porta a fare un viaggio attraverso il mondo delle competizioni per capire come e quanto è cambiato
  • Matteo Valenti
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11 novembre 2014

Padova - In occasione della gara di 24 Ore per scoprire i consumi reali della Porsche Panamera S E-Hybrid abbiamo incontrato Mauro Baldi, con una carriera impressionante alle spalle.

 

Vincitore della 24 Ore di Le Mans nel 1994, proprio con una Porsche, il pilota italiano ha avuto una carriera lunghissima ricca di successi, tra cui spiccano anche le due vittorie alla 24 Ore di Daytona nel 1998 con la mitica Ferrari 333 SP di Momo e nel 2002 con una Dallara con motore Judd. Con lui, vero mago delle corse di durata, siamo andati alla scoperta del mondo delle competizioni, per capire come e quanto è cambiato.  

 

Come hai iniziato a correre in auto?

«Ho iniziato a correre perché ho scoperto che mi piaceva guidare. Quando ho preso la patente andavo con degli amici a correre di notte sul Passo del Cerreto. Ci divertivamo a vedere chi faceva il miglior tempo da Reggio Emilia. Mi sentivo bravo, ma volevo capire se avevo veramente talento. Ci ho messo tre anni a convincere mio papà a regalarmi una Renault 5 da corsa, con cui ho vinto la Coppa Renault, che mi ha insegnato a gareggiare e a magari a vincere, ma non a guidare. Poi ho trovato qualche sponsor, mi hanno aiutato degli amici e sono riuscito a finire in Formula 3, dove ho vinto alla terza corsa, sul bagnato. A questo punto non sono più riuscito a placare la mia sete di corse. Volevo continuare a misurarmi, a mettermi alla prova».

 

L'obiettivo è stato sin da subito la F1?

«No, all'inizio non pensavo alla Formula 1, ci sono arrivato per gradi. È chiaro però che pensavo solo alle corse. Quando ero in F3 mi addormentavo sognando di diventare un pilota di F1. Per questo sono rimasto convinto che quando si vuole raggiungere davvero un obiettivo anche i sogni possono diventare realtà».

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Mauro Baldi sulla Arrow con l'inconfondibile sponsor Ragno

 

Arriva il momento dello sbarco in F1. Come sono andati quegli anni?

«Sono arrivato prestissimo in F1, dopo solo 4 anni di F3 e senza passare per la F2. Qui ormai sapevo guidare, ma ero capace di guidare una F3, non una F1. Ho debuttato su un catorcio [la Arrow A4]. Era un'auto progettata in maniera sbagliata, nata male, tanto che al debutto in Sud Africa il mio compagno [Marc] Surer andava a muro perché aveva ceduto una sospensione e si ruppe le gambe. Per sostituirlo chiamarono Patrick Tambay che dopo qualche giro di prova si rifiutò di guidarla. Diceva: "Siete matti se pensate che mi metterò alla guida di questa macchina!". Con la Arrow pensavo di non essere pronto alla F1 perché dopo un'ora di guida ero sfinito. Mi allenai tantissimo per potenziare i muscoli del collo e delle braccia, volevo dominare quella maledetta monoposto. Alla fine non andò così male la stagione, perché nell'82 fui il miglior esordiente.»

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Gli anni in F1 sono durissimi per Baldi. Eccolo impegnato con l'Alfa Romeo 183T, perennemente afflitta da problemi di affidabilità

 

La tua carriera nel Circus prosegue con l'Alfa Romeo. Non sembri conservare un bel ricordo della F1, è proprio così?

«Con l'Alfa Romeo [183T] mi ritrovo un telaio eccezionale, ma avevo il problema delle turbine Avio che si rompevano continuamente. A Monza e in Germania stavo per fare podio, ma poi il motore puntualmente ci mollava e dovevo dire addio alla gara. Poi ho continuato con Spirit, ma era una squadretta che non aveva tanti mezzi. Guidai in F1 per tre anni e mezzo ma non ho un bel ricordo di quel periodo. Dopo l'ultimo GP a Imola ho passato due anni di grande crisi. Ho guidato con la Lancia Martini LC2 seguita da Cesare Fiorio ma non mi piaceva correre con questa auto. All'epoca non mi piaceva condividere la macchina con altri piloti e dovere trovare compromessi con i compagni di squadra».

 

Stavi per abbandonare le corse?

«Sì, assolutamente. Non volevo più correre, erosconfortato. Nel frattempo però avevo conosciuto Bob Wollek, che a metà stagione mi ha chiamato per fare un test a Monza con una Porsche GT e poi una gara in IMSA con una Porsche 962. Dopo i primi giri avevo capito che anche i prototipi erano auto eccezionali e che non esisteva solo la F1. Quando uno scendeva da una F1 si sentiva il re del mondo, ma non era così. Anche su queste auto [a ruote coperte] bisognava tirare fuori le palle. Iniziavo a vincere e a farmi notare. Cominciava così la mia carriera con i prototipi. Se non fosse stato per Bob forse avrei abbandonato per sempre la carriera di pilota».

Mi risposero con rigida mentalità teutonica che la Porsche 962 era un'auto per uomini veri, che andava dominata

 

La Porsche 962 è un'auto rimasta nel cuore degli appassionati. Bellissima, velocissima, micidiale. Qual è il ricordo più bello con questa auto?

«Dicevo agli ingegneri che avrei voluto un volante più morbido, più guidabile. Mi risposero con rigida mentalità teutonica che la 962 era un'auto per uomini veri, che andava dominata. Era un'auto davvero difficile da guidare, ma mi sono preso grandi soddisfazioni.»

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Baldi corre per un breve periodo anche con la Lancia Martini LC2 ma non si appassiona a questo tipo di competizioni

 

La 24 Ore di Le Mans è una corsa maledetta per alcuni piloti, che la inseguono tutta una vita senza mai vincerla. Tu sei riuscito a salire sul gradino più alto del podio nel 1994, ma il tuo è sempre stato un rapporto di amore e odio. Perché?

«Credo di aver corso 15 volte a Le Mans, davvero tante volte. L'ho finita quasi sempre, mi sono ritirato soltanto una o due volte. La 24 Ore conta vincerla, il secondo o terzo posto ti rimane pure di trasverso. Un pizzico di fortuna ci vuole sempre a Le Mans. Io per esempio l'ho vinta perché si ruppe il cambio della Toyota in testa e noi passammo primiNon ho mai amato però correre qui perché l'ho sempre ritenuta una gara inutilmente pericolosa. Poi salivi in macchina e non ci pensavi, ma sentivo un forte rischio. Era una gara che non si poteva saltare se eri un pilota di vertice del Mondiale prototipi e avvertivo il pericolo. Allo stesso tempo adoravo correre su questa pista. Le Mans mi regalava soddisfazioni enormi, specialmente di notte. Adoravo correre nel buio. È un rapporto di amore e odio il mio».

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La Dauer 962 Le Mans basata sulla Porsche 962 con cui Baldi vince la 24 Ore nel 1994

 

Sei stato protagonista di un errore clamoroso a Le Mans con la Mercedes C11, mentre eravate in testa. Te lo sei perdonato?

«Con la Mercedes C11 perdemmo per colpa mia. Eravamo in testa con due giri di vantaggio. Era il primo anno in cui si correva con la nuova chicane dopo il rettilineo dei box. Mi ero appena svegliato da una sessione di riposo per iniziare il mio stint. Al primo giro mi ero dimenticato in maniera inspiegabile della nuova chicane, ho tirato dritto insabbiando la C11. Sono rientrato in pista, perdo tutto il vantaggio e chiudo secondo. Quella gara ce l'ho proprio sulla coscienza».

 

E' curioso perché il momento più brutto che ha vissuto a Le Mans arriva nell'anno della vittoria. Cos' era successo?

«Hailwood verso l'alba ebbe un problema di salute e io fui obbligato a rimanere in auto per un terzo o quarto stint. Alla fine ero completamente disidratato, non vedevo più niente. Non riuscivo nemmeno più a bere né a mangiare. Riuscii però a riprendermi e a fare un ultimo turno e a tagliare il traguardo, vincendo. E' stata una vittoria ancora più bella».

Sarò antiquato, ma l'eccessiva tecnologia, il controllo onnipresente su un'auto da corsa non mi piace

 

Hai mai avuto paura a Le Mans?

«I grossi problemi a Le Mans nascono quando piove o c'è nebbia. Sono davvero cavoli neri perché non si vede più niente. In questi casi non avevo paura, ma sentivo il mio lato razionale che parlava, chiedendomi perché stavo facendo tutto questo. La 24 Ore ti chiede il 100% dell'attenzione. Se piove non basta, per questo le condizioni meteo critiche fanno salire il nervoso e sfiancano i piloti».

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Baldi festeggia con la squadra di Gianpiero Moretti, Fondatore della MOMO, la vittoria alla 24 Ore di Daytona con la Ferrari 333SP

 

Molti appassionati sostengono che le auto da corsa di oggi non sono più affascinanti e spettacolari come quelle di un tempo. Cosa ne pensi?

«La tecnologia ha modificato il controllo della vettura e le performance. Questo è sicuramente positivo per il progresso delle auto di serie ma ha mortificato lo spettacolo nelle corse così come il ruolo del pilota. Si è appiattito tutto. Forse starò esagerando, ma mi sembra che oggi sia diventato quasi tutto una sorta di videogame. Sarò antiquato, ma l'eccessiva tecnologia, il controllo onnipresente su un'auto da corsa non mi piace. Credo che oggi, su queste auto da corsa, sia più semplice raggiungere il tuo limite rispetto al passato».

 

Anche tu però hai guidato però alcune auto sofisticate per esempio già dotate con i primi cambi sequenziali...

«Sulla Peugeot 905 ho utilizzato per la prima volta un cambio sequenziale e mi era piaciuto molto. Ammetto che era più facile rispetto al classico manuale dove dovevo andare a cercare le marce. Ma il pilota faceva ancora la differenza anche con il sequenziale. Non tutti infatti si trovavano bene con questo cambio, bisognava capire come utilizzarlo e trovare il momento ottimale per l'inserimento delle marce. Era una miglioria tecnica ma non appiattiva il ruolo del pilota. Oggi il cambio con i bottoni al volante non permette più di fare un fuorigiri, è tutto controllato e non si può più sbagliare niente».

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Sulla Peugeot 905 Baldi inizia a conoscere e ad apprezzare il cambio sequenziale

 

Quali sono le auto da corsa che ti sono piaciute di più da guidare?

«Senza dubbio la Mercedes C11, sviluppata da Sauber, un vero signore, ma anche la Ferrari 333 SP e la Dallara-Judd, due vetture con cui ho vinto la 24 Ore di Daytona, prima nel 1998 e poi nel 2002».

 

Guidare una vettura complessa come la 919 Hybrid ti piacerebbe o pensi che ti darebbe meno emozioni rispetto a quelle auto mitiche?

«Sì bé, mi piacerebbe. Vorrei capire quante cose sono cambiate rispetto a quando correvo. Non credo però che proverei meno emozioni. Quando salgo su un'auto da corsa penso solo a fare un tempo. Non importa il mezzo su cui mi ritrovo seduto».

 

Anche molti dei circuiti di oggi sembrano meno affascinanti rispetto al passato. Anche tu la vedi così?

«Vedo di buon occhio tutto quello che si può fare per migliorare la sicurezza sulle piste. A patto che non vengano snaturate troppo. Mi piacciono i circuiti come Spa dove ancora oggi ci vuole del gran pelo sullo stomaco per fare la differenza. Dove l'Eau Rouge è sempre la stessa e dove devi sentire ogni singola curva per riuscire a percorrerla in maniera perfetta».

Con la Mercedes C11 arrivavo a 403 km/h! A queste velocità non vedi più niente, perché le immagini si trasformano in colori

 

Alcuni dicono che anche il circuito della 24 ore di Le Mans sia stato snaturato, con l'introduzione nel 1990 di quella chicane sul leggendario rettilineo dell'Hunaudières. E' così?

«Non ho sentito molto la differenza dopo l'inserimento della chicane sul rettilineo dell'Hunaudières. Prima arrivavi a 380 km/h, dopo a 330 e a queste velocità 50 km/h non ti cambiano di certo la vita, anche se in qualifica con la Mercedes C11 arrivavo a 403 km/h! A queste velocità non vedi più niente, perché le immagini si trasformano in colori. Secondo me in ogni caso la sicurezza non è migliorata con questa chicane».

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La micidiale Mercedes C11 sviluppata da Sauber rimane una delle auto preferite da Baldi

 

Cosa ne pensi dei nuovi circuiti disegnati da Tilke, ricchi di curve a strettissime e spesso molto lenti?

«Ho sempre amato le piste con curve veloci. Ho sempre detestato invece le curve a 90°, soprattutto in F1, sui tracciati americani. Per me frenare, girare la macchina ormai quasi ferma e riaccelerare, non è guidare».

 

E cosa ne pensi di Montecarlo, un circuito stretto, a tratti lentissimo ma ancora tanto amato dai piloti?

«Ho sempre adorato Montecarlo, un'altra pista che è cambiata pochissimo rispetto al passato. Una pista stretta, strettissima. È vero ci sono delle curve lente, ma a Monaco mi appassionavo perché non si può fare il minimo errore, era meraviglioso sfiorare i guard rail. A Montecarlo guidi. E guidi davvero».

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La Dallara-Judd con cui Baldi vince la 24 Ore di Daytona nel 2002

 

Molti metterebbero la firma per fare una vita come la tua, dall'inizio alla fine immersa nel mondo delle corse.

«Alcuni pensano che la vita del pilota sia tutta rose e fiori. Certo. Fare il pilota è un sogno, ma questo mestiere ti sottopone ad uno stress psicologico enorme. Non sei mai tranquillo. Una volta mancano i soldi, quando trovi gli sponsor non vuoi deluderli e hai paura di perdere, a volte sei in testa ad una corsa, sbagli e mandi tutto all'aria. È una vita pesante, non ti puoi mai rilassare. Sono sforzi fisici e mentali immani, ma la vittoria è l'unica arma capace di cancellare tutto e di darti la forza per continuare».

 

Mi hai sempre colpito per il tuo approccio razionale al mondo delle corse. Perché hai maturato questa mentalità? Non è così frequente nel mondo delle corse...

«Fare il pilota era la mia passione e non era un capriccio. Non ero un figlio di papà e una volta intrapresa la carriera quello del pilota era diventato il mio mestiere per guadagnarmi da vivere. Nel vero senso del termine. Per questo ho avuto un approccio sempre molto razionale al mondo delle corse. Valutare rischi e pericoli mi veniva in maniera abbastanza naturale. Non mi sono mai buttato nella mischia col cappello per aria. Certo, durante le gare anche io mi sono preso i miei rischi. Non si può fare un sorpasso senza mai rischiare, le occasioni vanno prese e non si può essere un ragioniere. Specialmente se non hai in mano l'auto vincente. Però mi sono sempre considerato un pilota che ha usato tanto la testa».

Se salgo in macchina devo fare un tempo o vincere una corsa. Se devo salire in macchina tanto per guidare allora dico no, grazie

 

Sei un pilota che non si fa problemi a dire "mi è andata bene, sono ancora vivo". E' per questo che hai chiuso con le corse?

«Non guido più un'auto da corsa da 10 anni. Sono perfettamente in pace con me stesso, non mi mancano le corse. Ho avuto una carriera di 40 anni, ho corso tantissimo e non ho problemi a dire che mi è andata bene. Altri miei colleghi sono stati più sfortunati. So benissimo in ogni caso che mi piacerebbe tornare al volante di certe macchine per vedere di cosa sono ancora capace. Ma alla fine mi chiedo che senso avrebbe. Non riesco ad avere l'approccio del gentleman driver. Mi piace guidare con un obiettivo. Se salgo in macchina devo fare un tempo o vincere una corsa. Se devo salire in macchina tanto per guidare allora dico no, grazie. E poi, non ho rimpianti».

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Un giovane Mauro Baldi, nel fiore della sua carriera

 

Una curiosità. Sei sempre stato velocissimo, indipendentemente dalla macchina su cui ti trovavi. Non hai mai pensato di metterti alla prova con le moto?

«Non ho mai guidato una moto in pista. Ma mi ha sempre affascinato l'idea di raggiungere il limite su due ruote. È una fisicità completamente diversa da quella necessaria per correre in auto. Su quattro ruote devi resistere e tenere l'auto, perché sono mezzi che girano in curva veramente fortissimo, con accelerazioni laterali gigantesche. La moto invece è un mezzo da dominare, la devi spostare continuamente».

 

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