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Alla vigilia di un incontro cruciale della Commissione Europea, Francia e Spagna hanno deciso di fare fronte comune contro il vicino tedesco con una mossa degna di un thriller geopolitico: una lettera. Sì, avete capito bene. Nel 2025 si combatte ancora a colpi di note diplomatiche. E il contenuto? Un secco "no grazie" alla Germania e ai suoi tentativi di annacquare l'obiettivo del 2035 per la fine dei motori a combustione interna.
La Germania, quella stessa Germania che appena uscita dal Covid aveva promesso una conversione lampo all'elettrico entro il 2030, ha improvvisamente riscoperto il fascino dei motori termici. Sarà stato vedere le vendite di auto elettriche stagnare intorno al 20% del mercato? O forse il fatto che i loro adorati marchi premium come BMW, Mercedes, Audi abbiano iniziato a sudare freddo davanti alla concorrenza cinese?
"La scadenza del 2035 è un punto di riferimento essenziale per il settore automobilistico. L'obiettivo di zero emissioni entro il 2035 non deve essere rimesso in discussione in nessun caso", dichiarano con fermezza Francia e Spagna nella loro nota congiunta. Una posizione chiara che ribadisce l'impegno preso a livello europeo e che non lascia spazio a interpretazioni o ripensamenti dell'ultimo minuto.
Il piano B tedesco prevede di salvare i motori a combustione con biocarburanti e carburanti sintetici. Bellissimo, sulla carta. Peccato che nessuno abbia ancora spiegato come produrli in quantità industriali, come distribuirli e soprattutto come controllarne l'effettivo utilizzo. Dettagli, si dirà. Ma dettagli che pesano quanto un SUV premium tedesco.
Ma non sono solo i governi a trovarsi su fronti opposti. Anche l'industria automobilistica è profondamente divisa su questa questione. Da una parte il trio premium tedesco BMW, Mercedes e Audi che preme per posticipare la scadenza e aprire la strada a soluzioni alternative. Dall'altra, costruttori come Kia e altri marchi che hanno già investito decine di miliardi di euro nella transizione elettrica e che vedono ogni tentativo di retromarcia come una minaccia concreta ai propri piani industriali.
Per i primi si tratta di dare respiro a un mercato europeo in difficoltà e sotto pressione della concorrenza cinese. Per i secondi, invece, rimettere in discussione il 2035 significherebbe svalutare investimenti miliardari già effettuati e mandare un segnale di incertezza devastante per la pianificazione industriale.
Due visioni strategiche diametralmente opposte che l'Europa dovrà in qualche modo conciliare entro il prossimo anno. Un compito, va detto, tutt'altro che semplice considerando gli interessi economici e politici in gioco.
La posizione francese non sorprende chi segue il settore. Da quasi due anni il Ministero dei Trasporti transalpino ripete lo stesso mantra: 2035 è 2035, punto. Zero emissioni significa zero emissioni, non "emissioni che ci piacciono" o "emissioni di carburanti fighi e alternativi".
Tra i non detti di questa battaglia c'è un elefante nella stanza grande quanto un SUV elettrico: i paesi dell'est Europa. Quelli dove il potere d'acquisto non permette di sognare Tesla e dove le colonnine di ricarica sono rare quanto i giorni di sole a Londra. Ma di loro, meglio non parlare troppo, potrebbero complicare la narrazione.
La verità è che questa battaglia riflette la confusione totale di un'industria e di una politica che hanno promesso la rivoluzione elettrica senza avere un piano B. O forse avendone troppi. La decisione finale arriverà l'anno prossimo, e sarà il risultato di lobbying, pressioni economiche e probabilmente qualche compromesso al ribasso che scontenterà tutti.
Nel frattempo, godiamoci lo spettacolo di Francia e Germania che si lanciano frecciatine diplomatiche mentre altri paesi come la Cina, continuano imperterriti a vendere auto a prezzi che fanno sembrare i modelli europei dei beni di lusso.
Nel 2035 probabilmente guideremo ancora auto con motori a combustione alimentati a "carburante green certificato sostenibile premium", mentre i cinesi saranno già passati all'anti-gravità.